Un importante motivo di interesse per la chiesa di Santa Croce sono gli affreschi settecenteschi di Luca Rossetti, realizzati in due interventi, di cui il primo risale alla fine del 1753 mentre un secondo prese avvio nel 1761.
Una nota su Luca Rossetti
Nato ad Orta San Giulio nel 1708 in una famiglia di pittori, cresciuto sulla scia degli artisti attivi presso il locale Sacro Monte, attento alle lezioni provenienti da Roma, Rossetti divenne presto uno dei protagonisti dell’arte sacra nel Cusio, nella diocesi di Novara, nel Biellese ed anche in Canevese ove esordì ad Ivrea con lo stupendo ciclo decorativo della Chiesa di San Gaudenzio.
All’epoca in cui era vescovo di Ivrea Mons. Michele Vittorio Villa, fu il protagonista assoluto della pittura barocca in terra canavesana. Per il presule eporediese realizzò quella straordinaria raffigurazione a fresco del territorio della diocesi (con la città di Ivrea posta sotto la protezione dei santi patroni e della Vergine Assunta) che si può ammirare nel Salone del Palazzo Vescovile. Oltre ai cicli pittorici di San Gaudenzio e Santa Croce, Rossetti operò nell’ex Convento francescano (1741) e, con ogni probabilità, nella cappella del Seminario Vescovile; altre opere documentano la sua presenza canavesana a Pavone ed a Cuorgnè.
Ci sono negli affreschi di Santa Croce tutti gli aspetti che connotano il Barocco: la voglia di meravigliare, la teatralità, la grandiosità delle figure, la capacità di ampliare illusivamente gli spazi attraverso l’architettura dipinta. Vista da fuori la chiesa è un semplice oratorio: quando si entra si ha la sensazione che lo spazio si sia straordinariamente dilatato.
Cupola, particolare della Vergine assunta Dove soprattutto si ha la sensazione illusiva di uno spazio che sale a perdita d’occhio verso il cielo è negli affreschi della cupola. «La pittura – ha acutamente osservato Laura Facchin – è fitta di reminiscenze parmensi, da Correggio a Lanfranchi, nella disposizione delle gerarchie angeliche e dei santi per successivi anelli sovrapposti, disegnati dal solo disporsi dei corpi sulle nubi e culminanti, nel loro andamento spiraliforme, con la figura della Vergine assunta».
Nel presbiterio le finte architetture compongono due esedre simmetriche, una su ciascun lato, composte da un’alternanza di superfici concave e convesse (che ricordano il Guarini di Palazzo Carignano) con pilastri e balconate che guidano il nostro sguardo verso al cielo ove campeggiano immagini della Madonna.
Stando nella navata possiamo intravedere nel coro, al di là dell’altare, un imponente apparato decorativo che simula la presenza di una grande “macchina d’altare’’ fatta di dipinti e di sculture; ma poi ci sembra che la chiesa si sviluppi oltre tale poderoso apparato perdendosi in una nascosta profondità. A riguardo di tutto ciò già Augusto Cavallari Murat osservava: «L’abilità scenografica e quadraturistica [dimostrata in Santa Croce] è cospicua. La piatta superfice delle pareti viene squassata dall’anelito ad aprire varchi grandiosi, entro i quali costruire immaginarie architetture».
Non sappiamo se Rossetti si servisse della collaborazione di qualche valente quadraturista o, come più probabile, eseguisse lui stesso i “lavori di squadra”.
Oltre a farsi ammirare per la loro qualità artistica, gli affreschi del Rossetti ci parlano di un programma iconografico attentamente studiato. Attraverso gli affreschi, la confraternita volle infatti dimostrare come la sua originale devozione per la Vergine e la conservata fedeltà allo spirito francescano, si sostanziassero anche attraverso una raffinata meditazione teologica. Due, sotto il profilo dottrinale, sono i capisaldi del ciclo di affreschi. Il primo si esprime nella celebrazione della figura della Vergine attraverso la rappresentazione dei dogmi mariani.
Oltre all’Assunzione che osserviamo nella cupola, con la Madonna accolta nella luce della Trinità, assistiamo, sul lato sinistro del presbiterio, alla teatrale raffigurazione della dottrina della Madonna Theotokos (la Madre di Dio) e della Verginità perpetua di Maria in guisa di disputa tra figure autorevoli di teologi e padri nella chiesa; una scena dello stesso tenore, su lato destro, celebra la disputa intorno alla controversa dottrina dell’Immacolata Concezione.
Il secondo caposaldo teologico che pervade l’intero ciclo si sforza di testimoniare la linea di continuità tra Antico e Nuovo Testamento, quasi a voler richiamare le parole di Paolo: “Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione”. I personaggi scelti, in accordo con fonti di esegesi biblica attentamente consultate, intendono spiegare la prefigurazione, attraverso figure veterotestamentarie, dell’avvento di Cristo e del ruolo affidato dalla Volontà Celeste alla Madonna. A rendere esplicito il messaggio concorrono le affascinanti eroine vetero testamentarie della navata, i profeti e patriarchi nei pennacchi della volta, le figure bibliche presenti nelle lunette sulle pareti del coro.
Siamo dunque in presenza di un ciclo complesso, con un programma iconografico intellettualistico (fitto di riferimenti teologici), ma svolto senza eccessi e stonature retoriche. Contribuisce a ciò anche la versatilità del pittore, capace di impegnarsi anche in scene di minuta narrazione (come nella ‘Natività della Vergine’’, o in deliziose invenzioni (come quella dei putti in meditazione); né mancano, ad ingentilire il racconto, composizioni floreali, un tratto di attenzione decorativa che interviene con frequenza nel linguaggio del pittore di Orta.